sabato 12 febbraio 2011

"Vandali", il libro di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo sul patrimonio culturale


Tra le varie amenità sulla caduta libera, in Italia, del rispetto per il patrimonio storico, artistico, archeologico e per il paesaggio anticipate dal libro di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo in questi giorni, questa si ricollega strettamente al precedente post:

"Spiega uno studio dell’Associazione europea cementieri che l’Austria nel 2004 ha prodotto 4 milioni di tonnellate di cemento, il Benelux 11, la Gran Bretagna 12, la Francia 21 e mezzo, la Germania 33 e mezzo, la Scandinavia meno di 36 e noi 46,05, battuti di un soffio solo dalla Spagna. Solo che la Spagna ha 90,6 abitanti per chilometro quadrato, noi 199,3: più del doppio. Insomma, di territorio ne abbiamo già consumato troppo (…)."

E ancora, questo altro passaggio è rappresentativo dell'idea distorta, e diffusa, del significato e del valore dei beni culturali:

"Dice l’Ufficio delle Nazioni unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine di Vienna che quello delle opere d’arte trafugate è il terzo business mondiale del crimine dopo i traffici di droga e di armi. 
Eppure tra i 69.000 detenuti nelle carceri italiane all’inizio del 2011 neanche uno era in cella per avere scavato una tomba etrusca, rubato un quadro o trattato la vendita di un vaso antico a un ricettatore straniero. 
Se sei ricercato per «tentato furto di una mucca», (...) puoi restare sei mesi a San Vittore. 
Se cerchi di vendere all’estero la statua di Caligola non vai in carcere. 
Se poi trovi certi giudici, puoi perfino tenerti la merce. 
È successo ad (...) un sub laziale denunciato per essersi «impossessato di beni culturali appartenenti allo Stato». Aveva trovato, guardandosi bene dall’avvertire la soprintendenza, 28 pezzi tra i quali varie anfore antiche e un set di preziosissimi strumenti chirurgici romani con tanto di astuccio, perfettamente integri. 
Il pubblico ministero chiese una condanna ridicola: sei mesi e 2500 euro di multa. «Esagerato!», pensò il giudice (...). E il 3 maggio 2004 assolse l’imputato perché «di anfore, piatti di terracotta, crateri e vasi, manufatti di vario genere, sono pieni i nostri mari» (…)."

Ne sono pieni i nostri mari, le nostre città e i nostri territori.
Una noia.

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