martedì 15 febbraio 2011

Beni culturali e decreto milleproroghe: niente di fatto?

In attesa di conoscere il testo del maxi-emendamento al decreto mille-proroghe e delle eventuali novità dell'ultim'ora, dai resoconti dei passaggi parlamentari dei giorni scorsi si rileva che degli emendamenti riguardanti i beni culturali non si sarebbe salvato nemmeno quello che predisponeva il piano straordinario per Pompei, piano già stralciato a dicembre dal Consiglio dei Ministri in sede di approvazione del decreto. Emendamento presentato a firma di L. Malan e che risulta ritirato

Non era realistico aspettarsi, da parte del Governo, un ripensamento radicale della politica dei beni culturali. 
Non era realistico aspettarsi che il Governo ammettesse di aver sbagliato -perché il piano straordinario per Pompei altro non è che un'ammissione di colpa, il riconoscimento del fallimento della politica finora attuata in uno dei più straordinari siti archeologici del mondo e il tentativo di rimediare attuando misure da tempo e da più voci evocate, attuando quella che dovrebbe essere la normale prassi amministrativa: garantire le giuste risorse, umane, economiche e burocratiche.
Non era realistico aspettarsi che il Governo accogliesse le proposte dell'opposizione, presentate in forma di emendamenti allo stesso decreto milleproroghe, per iniziare a fronteggiare in modo serio lo stato vegetativo del sistema beni culturali.
Non era realistico aspettarsi che il Governo correggesse la rotta, non solo a Pompei ma su tutto il territorio nazionale.

E però era lecito aspettarsi...
Poche e generiche parole sono state spese nella discussione al Senato sull'esclusione dal decreto mille proroghe degli emendamenti che riguardavano i beni culturali.
Poche e generiche parole sui tagli e sull'inadeguatezza delle risorse, qualche riferimento più incisivo sul FUS.
Dove è finito lo sdegno delle opposizioni per lo sfascio dei beni culturali?
Dove è finito lo sdegno delle opposizioni per una politica insufficiente e distorta nei suoi principi si base?
Dove è finita la strenua difesa della cultura e dei beni culturali che nei mesi scorsi ha riempito la bocca dell'opposizione in Parlamento?
Un mero esercizio di politica spicciola, verrebbe da pensare, che ha cavalcato l'onda dello sdegno nazionale e internazionale, e che si è esaurito molto in fretta.

Anche in questo la distanza tra cittadini e politica si fa sempre più incolmabile. 
Perché quei provvedimenti, se inseriti nel mille proroghe, ora, subito, non domani non in un futuro di distanza incalcolabile, avrebbero contribuito alla salvezza del patrimonio culturale e al rilancio di quel circolo virtuoso di tutela e valorizzazione che rende i beni culturali davvero una risorsa per lo sviluppo sia culturale sia economico.
Perché quei provvedimenti, se inseriti nel mille proroghe, ora, subito, non domani non in un futuro di distanza incalcolabile, avrebbero contribuito a migliorare la vita di un gran numero di persone, assicurando loro un lavoro, che hanno meritato superando un concorso pubblico e non con scorciatoie di vario genere. Un lavoroper di più di interesse generale.
Perché la scelta di subordinare, sempre, la cultura e i beni culturali ad altro non appare più così condivisa. 
Si moltiplicano le associazioni, le iniziative, le discussioni, i blog in difesa del patrimonio culturale, dell'ambiente e dei territori. Tra i molti possibili esempi è quanto sta accadendo a Roma, XI Municipio e mi fa piacere citare il blog di un gruppo di studenti universitari della città in cui vivo.
Non sono più solo i tecnici del mestiere a parlare, è la gente a porsi delle domande e prima o poi qualche risposta la politica dovrà darla.

Mi rendo conto che oggi siamo in altre faccende affaccendati e che sul piatto della politica le questioni da affrontare sono molte e tutte (o quasi tutte) rispettabilissime e degne della massima attenzione. 
Tra queste non potrebbero esserci anche la cultura e i beni culturali?

"In anni duri nei quali incombevano i problemi della ricostruzione di una economia e di una società dissestate e sconvolte tra le prime cure di Luigi Einaudi eletto - dopo l'entrata in vigore della Costituzione - Presidente della Repubblica con mandato settennale vi fu quella dell'incoraggiamento della cultura e delle arti. 
Oggi in tempi comunque difficili, non dobbiamo perdere di vista, nel tanto frastuono e tra i tanti motivi di ansietà che viviamo, un dato essenziale e confortante di cui continuare ad aver cura come mostrò di averne il Presidente Einaudi. Quale sia il dato essenziale di cui parlo è presto detto: quel che ci accomuna e ci distingue come Nazione è più di ogni altro elemento la cultura, il patrimonio storico di cui siamo eredi, la cultura che vive in tutte le sue espressioni come ricerca e come creazione. È qui un nostro fondamentale punto di orgoglio e di forza nel presentare al mondo il bilancio dei 150 anni dell'Italia unita".

Lo ha detto oggi il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano 


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