domenica 13 marzo 2011

Io scelgo i Beni Culturali

La politica per i Beni Culturali ha toccato il punto di non ritorno. Occorre fare una scelta.
Si può tacere e lasciare che si prosegua, senza inciampi, lungo la strada tracciata negli ultimi anni, abbandonare a se stesso il patrimonio culturale, finché non ci sarà più modo di rimediare e l’obiettivo di liberarsi del pesante fardello sarà raggiunto.
Oppure si può dire BASTA e tracciare un’altra strada.
Chi nell’ampio mondo dei Beni Culturali ha scelto di operare lo sta facendo, in vari modi, da tempo. E ancora, duole dirlo, non è sufficiente.
L’ormai celebre, e infelice, frase “con la cultura non si mangia” è stata commentata più e più volte. E più e più volte ne è stata sottolineata l’inesattezza.
Eppure l’idea che la cultura non è un lavoro è più diffusa di quanto si pensi.
Grava sulla cultura e sulle professioni culturali l’ombra, opprimente, del dilettantismo, che ne mina la dignità e la credibilità.
Lo sappiamo bene noi archeologi, che non esistiamo, ufficialmente.
E non è che ciò abbia a che fare solo con i professionisti che operano dall’esterno –sui quali, certo, il peso è più grave perché essi sono anche senza potere contrattuale nei rapporti di lavoro, senza diritti, senza tutele di alcun genere. Senza e basta.
L’assenza di una riconosciuta professionalità riguarda anche gli “strutturati”, i funzionari ministeriali, i professori e i ricercatori universitari, che derivano la loro dignità, la loro credibilità e la loro autorevolezza non dall’essere archeologi, ma dall’appartenenza ad un apparato che ha di per sé dignità, credibilità e autorevolezza (magari qualche dubbio sorge sul fatto che al Ministero per i Beni e le Attività Culturali oggi si riconosca ancora dignità, credibilità e autorevolezza...Resta l’autorità in materia di tutela. Per quanto ancora? E poi davvero? Prendiamo ad esempio la progettazione e la realizzazione di opere pubbliche, ambito nel quale la tutela del patrimonio culturale ha un ruolo delicato e il punto di massima intersezione con l’oggi. Si vanno moltiplicando, fino a diventare ormai la regola e non essere più l’eccezione, i casi ai quali si applica il regime dei commissariamenti, improntato allo slogan del fare, che bypassa la burocrazia e le leggi senza tenere conto di tutti gli interessi generali e pubblici coinvolti, quindi anche del patrimonio culturale e del paesaggio, e che può sorvolare sulle criticità, se ritiene ciò funzionale all’obiettivo).

E allora va ribadito con forza.
L’archeologia non è una passione, è un lavoro. Che poi sia un lavoro svolto con passione, è altra cosa. Non si confonda la passione per un lavoro con il lavoro stesso...
L’archeologo non è un “appassionato di cose vecchie”, è un lavoratore al servizio della conoscenza, della tutela e della valorizzazione del patrimonio archeologico.
L’archeologia non è una passione, né, tanto meno, una caccia al tesoro – o al mistero che oggi è di gran moda- è un lavoro.
Ed è una scienza. Con regole, metodi e strumenti propri, rigorosi, condivisi e in continuo sviluppo e affinamento.
Una scienza che non si improvvisa, s’impara. S’impara attraverso un percorso formativo lungo e articolato, fatto di teoria e di pratica, di studio e di fatica (anche fisica), di biblioteche e di cantieri, polverosi o fangosi a seconda della stagione.
Una scienza. Un lavoro.
Per giunta di rilievo costituzionale.
Ché con l’archeologia, e con le altre professioni culturali cui il discorso si può estendere senza difficoltà, “la Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.
È questo che fanno gli archeologi, e gli storici dell’arte, gli archivisti, i bibliotecari, i restauratori, ecc. ecc.: attuano un principio costituzionale, ogni giorno, quasi inconsapevolmente.
Senza di loro non si potrebbe, non si può.

Ma è bene domandarsi se questo ha ancora senso, oggi.
È bene domandarsi a chi interessa, oggi.
È bene domandarsi se hanno ancora un senso, oggi, la memoria collettiva, la storia, il patrimonio culturale e storico, l’educazione culturale e storica.

Voglio credere che la risposta sia sì, ha senso e interessa ancora a qualcuno.
Non fosse altro che per mantenere quell’impresa del turismo sulla quale il sistema Italia conta più di quanto voglia ammettere.
Se la risposta è sì, allora non è più tempo di indugiare. Bisogna fare. Cosa?
In questi mesi, e anni in verità, le proposte, i suggerimenti e i consigli non sono certo mancati, per quanto inascoltati, senza eccezioni.
Faccio un riassunto delle urgenze.

1. Dare dignità al patrimonio culturale e al paesaggio, riconoscendolo davvero, come fa la Costituzione, come interesse generale e pubblico. Come elemento distintivo e unico e unificante. Come valore aggiunto nei rapporti tra i popoli e tra le culture, in quel luogo, oggi in verità molto piccolo, che è il Mondo.

2. Dare dignità alla tutela del patrimonio culturale e del paesaggio, riconoscendola, nella sua essenza di interesse generale e pubblico, quale contributo, e non ostacolo, allo sviluppo del paese. Magari uno sviluppo che abbia al centro l'uomo e non solo il denaro.

3. Dare dignità al lavoro culturale, riconoscendo le professioni e regolamentando tutto il sistema di requisiti, standard, diritti, tutele e garanzie che oggi mancano.

4. Restituire vitalità al Ministero per i Beni e le Attività Culturali, nominando un Ministro subito.
Un Ministro che sappia che cosa va a fare, di che cosa si deve occupare.
Un Ministro che non debba perdere tempo ed energie a spiegare ai suoi colleghi di governo “l’importanza strategica” dei beni culturali.

5. Restituire vitalità al Ministero per i Beni e le Attività Culturali, dando valore e dignità ai suoi funzionari e al loro lavoro.
Rafforzando e non diminuendo le competenze nella tutela.
Affermando la necessità e l’importanza della tutela preventiva contro la logica dell’emergenza.
Rendendo più snelle e più efficaci le procedure burocratiche, ma non meno rigorose.
Dotando i suoi uffici periferici che operano sul territorio, le Soprintendenze, di risorse economiche e di organici congrui, nella quantità e nella qualità.
Assumendo immediatamente gli idonei dell’ultimo concorso.
Programmando selezioni pubbliche a cadenze regolari, che garantiscano il ricambio senza soluzioni di continuità.
A ché la preparazione e l’esperienza dei tecnici operativi non vada dispersa ma si trasmetta alle nuove generazioni e a ché questi rinvigoriscano con la loro forza innovativa quell’eccellenza di cui si andava e si vorrebbe ancora andare fieri.

6. Eliminare ARCUS e ALES S.p.A. e aprire davvero ai “privati” per la realizzazione di progetti specifici, per le attività strumentali al funzionamento del Ministero, per i servizi aggiuntivi in genere.
Aprire davvero ai privati, chiudendo le porte al meccanismo clientelare e ai privilegi immotivati, e applicando invece un sistema improntato alla trasparenza e alla concorrenza, non al ribasso economico ma al rialzo in termini di qualità.
Aprire davvero ai privati alimentando l'eccellenza di cui sopra con esperienze diverse, ma non meno utili o feconde.
Aprire davvero ai privati, senza pregiudizi ma anche senza lassismi, perchè i beni culturali non sono merci.
Aprire davvero ai privati per far arrivare il Ministero laddove, da solo, non ce la fa ad arrivare. 

Si può tacere e lasciare che si prosegua, senza inciampi, lungo la strada tracciata negli ultimi anni.
Oppure si può dire basta e tracciare un’altra strada.
Io scelgo di dire BASTA.
Io scelgo i Beni Culturali.
Qualcun altro? 

2 commenti:

  1. Io.
    Quelli che esercitano la mia professione vengono ancora (!) guardati con sufficienza. Non incentivati al miglioramento. Intralciati quando cercano di far da sè per offrire un servizio migliore...Ma se i BBCC spariscono perchè non curati...sto a spasso anche io...e anche molto delusa.

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  2. Ecco un'altra mazzata:
    http://www.repubblica.it/politica/2011/03/14/news/beni_culturali_troppi_tagli_nel_settore_carandini_si_dimette_da_consiglio_mibac-13601118/?ref=HRER1-1

    De profundis.

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