Si può tacere e lasciare che si prosegua, senza inciampi, lungo la strada tracciata negli ultimi anni, abbandonare a se stesso il patrimonio culturale, finché non ci sarà più modo di rimediare e l’obiettivo di liberarsi del pesante fardello sarà raggiunto.
Oppure si può dire BASTA e tracciare un’altra strada.
Chi nell’ampio mondo dei Beni Culturali ha scelto di operare lo sta facendo, in vari modi, da tempo. E ancora, duole dirlo, non è sufficiente.
L’ormai celebre, e infelice, frase “con la cultura non si mangia” è stata commentata più e più volte. E più e più volte ne è stata sottolineata l’inesattezza.
Eppure l’idea che la cultura non è un lavoro è più diffusa di quanto si pensi.
Grava sulla cultura e sulle professioni culturali l’ombra, opprimente, del dilettantismo, che ne mina la dignità e la credibilità.
Lo sappiamo bene noi archeologi, che non esistiamo, ufficialmente.
E non è che ciò abbia a che fare solo con i professionisti che operano dall’esterno –sui quali, certo, il peso è più grave perché essi sono anche senza potere contrattuale nei rapporti di lavoro, senza diritti, senza tutele di alcun genere. Senza e basta.
L’assenza di una riconosciuta professionalità riguarda anche gli “strutturati”, i funzionari ministeriali, i professori e i ricercatori universitari, che derivano la loro dignità, la loro credibilità e la loro autorevolezza non dall’essere archeologi, ma dall’appartenenza ad un apparato che ha di per sé dignità, credibilità e autorevolezza (magari qualche dubbio sorge sul fatto che al Ministero per i Beni e le Attività Culturali oggi si riconosca ancora dignità, credibilità e autorevolezza...Resta l’autorità in materia di tutela. Per quanto ancora? E poi davvero? Prendiamo ad esempio la progettazione e la realizzazione di opere pubbliche, ambito nel quale la tutela del patrimonio culturale ha un ruolo delicato e il punto di massima intersezione con l’oggi. Si vanno moltiplicando, fino a diventare ormai la regola e non essere più l’eccezione, i casi ai quali si applica il regime dei commissariamenti, improntato allo slogan del fare, che bypassa la burocrazia e le leggi senza tenere conto di tutti gli interessi generali e pubblici coinvolti, quindi anche del patrimonio culturale e del paesaggio, e che può sorvolare sulle criticità, se ritiene ciò funzionale all’obiettivo).
E allora va ribadito con forza.
L’archeologia non è una passione, è un lavoro. Che poi sia un lavoro svolto con passione, è altra cosa. Non si confonda la passione per un lavoro con il lavoro stesso...
L’archeologo non è un “appassionato di cose vecchie”, è un lavoratore al servizio della conoscenza, della tutela e della valorizzazione del patrimonio archeologico.
L’archeologia non è una passione, né, tanto meno, una caccia al tesoro – o al mistero che oggi è di gran moda- è un lavoro.
Ed è una scienza. Con regole, metodi e strumenti propri, rigorosi, condivisi e in continuo sviluppo e affinamento.
Una scienza che non si improvvisa, s’impara. S’impara attraverso un percorso formativo lungo e articolato, fatto di teoria e di pratica, di studio e di fatica (anche fisica), di biblioteche e di cantieri, polverosi o fangosi a seconda della stagione.
Una scienza. Un lavoro.
Per giunta di rilievo costituzionale.
Ché con l’archeologia, e con le altre professioni culturali cui il discorso si può estendere senza difficoltà, “la Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.
È questo che fanno gli archeologi, e gli storici dell’arte, gli archivisti, i bibliotecari, i restauratori, ecc. ecc.: attuano un principio costituzionale, ogni giorno, quasi inconsapevolmente.
Senza di loro non si potrebbe, non si può.
Ma è bene domandarsi se questo ha ancora senso, oggi.
È bene domandarsi a chi interessa, oggi.
È bene domandarsi se hanno ancora un senso, oggi, la memoria collettiva, la storia, il patrimonio culturale e storico, l’educazione culturale e storica.
Voglio credere che la risposta sia sì, ha senso e interessa ancora a qualcuno.
Non fosse altro che per mantenere quell’impresa del turismo sulla quale il sistema Italia conta più di quanto voglia ammettere.
Se la risposta è sì, allora non è più tempo di indugiare. Bisogna fare. Cosa?
In questi mesi, e anni in verità, le proposte, i suggerimenti e i consigli non sono certo mancati, per quanto inascoltati, senza eccezioni.
Faccio un riassunto delle urgenze.
1. Dare dignità al patrimonio culturale e al paesaggio, riconoscendolo davvero, come fa la Costituzione, come interesse generale e pubblico. Come elemento distintivo e unico e unificante. Come valore aggiunto nei rapporti tra i popoli e tra le culture, in quel luogo, oggi in verità molto piccolo, che è il Mondo.
2. Dare dignità alla tutela del patrimonio culturale e del paesaggio, riconoscendola, nella sua essenza di interesse generale e pubblico, quale contributo, e non ostacolo, allo sviluppo del paese. Magari uno sviluppo che abbia al centro l'uomo e non solo il denaro.
3. Dare dignità al lavoro culturale, riconoscendo le professioni e regolamentando tutto il sistema di requisiti, standard, diritti, tutele e garanzie che oggi mancano.
4. Restituire vitalità al Ministero per i Beni e le Attività Culturali, nominando un Ministro subito.
Un Ministro che sappia che cosa va a fare, di che cosa si deve occupare.
Un Ministro che non debba perdere tempo ed energie a spiegare ai suoi colleghi di governo “l’importanza strategica” dei beni culturali.
Un Ministro che non faccia finta di non sapere che “non si adempie all’obbligo costituzionale di tutelare i beni in oggetto senza uomini preparati e risorse adeguate”.
5. Restituire vitalità al Ministero per i Beni e le Attività Culturali, dando valore e dignità ai suoi funzionari e al loro lavoro.
Sostenendo la loro azione “nella tutela, ma anche nella conoscenza, nella valorizzazione e nella comunicazione, nella innovazione tecnologica, nella gestione” , e assicurando adeguati aggiornamenti della loro preparazione.
Rafforzando e non diminuendo le competenze nella tutela.
Affermando la necessità e l’importanza della tutela preventiva contro la logica dell’emergenza.
Rendendo più snelle e più efficaci le procedure burocratiche, ma non meno rigorose.
Dotando i suoi uffici periferici che operano sul territorio, le Soprintendenze, di risorse economiche e di organici congrui, nella quantità e nella qualità.
Assumendo immediatamente gli idonei dell’ultimo concorso.
Programmando selezioni pubbliche a cadenze regolari, che garantiscano il ricambio senza soluzioni di continuità.
A ché la preparazione e l’esperienza dei tecnici operativi non vada dispersa ma si trasmetta alle nuove generazioni e a ché questi rinvigoriscano con la loro forza innovativa quell’eccellenza di cui si andava e si vorrebbe ancora andare fieri.
6. Eliminare ARCUS e ALES S.p.A. e aprire davvero ai “privati” per la realizzazione di progetti specifici, per le attività strumentali al funzionamento del Ministero, per i servizi aggiuntivi in genere.
Aprire davvero ai privati, chiudendo le porte al meccanismo clientelare e ai privilegi immotivati, e applicando invece un sistema improntato alla trasparenza e alla concorrenza, non al ribasso economico ma al rialzo in termini di qualità.
Aprire davvero ai privati alimentando l'eccellenza di cui sopra con esperienze diverse, ma non meno utili o feconde.
Aprire davvero ai privati, senza pregiudizi ma anche senza lassismi, perchè i beni culturali non sono merci.
Aprire davvero ai privati per far arrivare il Ministero laddove, da solo, non ce la fa ad arrivare.
Si può tacere e lasciare che si prosegua, senza inciampi, lungo la strada tracciata negli ultimi anni.
Oppure si può dire basta e tracciare un’altra strada.
Io scelgo di dire BASTA.
Io scelgo i Beni Culturali.
Qualcun altro?
Io.
RispondiEliminaQuelli che esercitano la mia professione vengono ancora (!) guardati con sufficienza. Non incentivati al miglioramento. Intralciati quando cercano di far da sè per offrire un servizio migliore...Ma se i BBCC spariscono perchè non curati...sto a spasso anche io...e anche molto delusa.
Ecco un'altra mazzata:
RispondiEliminahttp://www.repubblica.it/politica/2011/03/14/news/beni_culturali_troppi_tagli_nel_settore_carandini_si_dimette_da_consiglio_mibac-13601118/?ref=HRER1-1
De profundis.