lunedì 7 marzo 2011

Abbracciamo la cultura - Sassari, Piazza Castello 5 marzo 2011: L'intervento del Presidente ANA Sardegna

Abbracciamo la cultura
di Giuseppina Manca di Mores, Presidente Associazione Nazionale Archeologi – sezione Sardegna.

Benvenuti a quella che certamente è e sarà ricordata come una giornata importante per la cultura in Italia.


In questo stesso momento, a Roma, una variopinta catena umana si va formando intorno al Colosseo mentre sul palco esponenti della cultura, fra cui il vicepresidente dell’Associazione Nazionale Archeologi Salvo Barrano, danno voce ai monumenti a rischio, dimenticati o maltrattati e agli operatori della cultura (spesso anch’essi a rischio, dimenticati o maltrattati al pari dell’oggetto del loro lavoro).
In questo stesso momento in tutta Italia, a Padova come all’Aquila, a Pompei come in Sicilia, le mani si uniscono in un abbraccio affettuoso intorno ai monumenti e all’arte accompagnate da musica e performance teatrali.
Ed è con particolare gioia che registriamo come, nelle ultime ore, all’abbraccio del castello di Sassari si sia aggiunto quello all’anfiteatro romano di Cagliari e la notizia della sentenza del Consiglio di Stato che ribadisce il vincolo ampio sulla necropoli punica e sul colle di Tuvixeddu a Cagliari.




Dar voce ai monumenti, dicevo.
Perché questo è il nostro mestiere di archeologi: dare voce alle testimonianze del passato, di quello di tutti i noi e che quindi a tutti noi va restituito, facendo in modo che esso dialoghi col nostro presente in modo fattivo, positivo consentendo la costruzione di un futuro per noi, i nostri figli e la collettività dove questo filo continui affinché tutti possano esserne partecipi.
Il castello di Sassari rappresenta bene questo intento.
I monumenti della cosiddetta archeologia urbana, quanto e forse più di quelli disseminati nel territorio, testimoniano la continuità di vita di uno stesso luogo scelto dall’uomo per insediarvisi, e pertanto la loro convivenza all’interno del progredire della storia di una città, se accompagnata e resa armonica, si ripercuote positivamente sulla vita della città stessa; parimenti, la loro distruzione ne segna maggiormente, e talvolta dolorosamente, la cesura. I segni di questa cesura non si vedono subito, ma sulla media e lunga distanza, e si vedono nello sradicamento, nella non comprensione della realtà nella quale viviamo, nella evidente necessità di colmare poi questi vuoti con invenzioni che facilmente assorbiamo, per quanto più inverosimili e antistoriche possano essere, che si spiegano proprio con l’insopprimibile necessità di creare comunque un aggancio, una spiegazione, un legame fra un prima e dopo, purché sia.
Il castello è una delle sfide monumentali e urbanistiche più complesse e innovative di questi ultimi anni nell’archeologia isolana. Si tratta di uno scavo difficile, in pieno centro storico, in una zona densa di servizi e attività commerciali e punti di ritrovo.
Anche attraverso le vivaci discussioni di questi anni dobbiamo riconoscere che questo monumento alla fine si è salvato per una disponibilità generale ed un intento comune che non sacrificasse più la memoria e la mettesse al centro della città, consentendo che le Memorie dal sottosuolo, come dice il titolo della bella mostra al Museo Sanna, continuassero ad essere tali.


Ma si può fare di più, si deve fare di più, si deve fare meglio e sempre meglio, in prospettiva.
Ed oltre alla voce dei monumenti va ascoltata quella degli operatori della cultura, e nella fattispecie degli archeologi sardi, che hanno studiato nelle università isolane e non, ma che qui sono rimasti o ritornati a lavorare e hanno saputo condurre a buon fine questo difficile recupero del castello così come tanti e tanti altri in Sardegna.


Quello delle grandi e sempre più specializzate risorse professionali è un fenomeno ben visibile e presente da un capo all’altro della nostra isola. E’ un processo ormai irreversibile quello che vede nella maggior parte dei casi la presenza e spesso la direzione di quelli che una volta venivano chiamati i”collaboratori esterni” di soprintendenze e università e che oggi sono di fatto professionisti qualificati, dove il primo timido e parziale riconoscimento all’interno del decreto legislativo 163 del 2006 nelle parti relative alle indagini di archeologia preventiva, rappresenta solo il primo passo di un cammino verso il pieno riconoscimento della professione e dei diritti ad esso legati, e sinora negati, che l’associazione ha come punto fermo e basilare della sua ragion d’essere assieme alla costituzione di un albo o di un elenco professionale vincolante. 


Su queste basi abbiamo iniziato ad aprire, e stiamo continuando a farlo, tavoli formali di confronto con le istituzioni pubbliche della tutela, della ricerca, con gli enti locali, con le organizzazioni sindacali e professionali.


Professione che certo non si esplica unicamente nello scavo archeologico, pure attività distintiva anche nell’immaginario collettivo, ma in tutte le fasi del processo di riconoscimento e recupero delle testimonianze del passato, della loro corretta interpretazione, restituzione e soprattutto comunicazione alla collettività, che, si badi bene, non è affatto aspetto marginale della professione di archeologo, come ben sanno i tanti colleghi che lavorano nella gestione delle aree archeologiche o delle strutture culturali che di questo si occupano – settore nel quale tanto ancora è da fare.


In questo quadro generale l’ANA, e in specifico l’ANA Sardegna, si pone come punto di riferimento qualificato e di raccordo fra i professionisti e tutte le altre istanze, in un continuo rapporto di dialogo e di collaborazione per uno sviluppo armonico di tutto il settore.
Chiudo questo mio intervento, a pochi giorni dall’8 marzo, con una parola sulle donne che hanno scelto di intraprendere questo mestiere. In Italia il 70% degli archeologi sono donne che svolgono la loro attività a diversi livelli, negli enti di tutela, nella ricerca, nella promozione della cultura, come libere professioniste e in tanti altri ruoli.

Eppure, come le cronache ci riportano quotidianamente, è proprio un problema di cultura quello che si pone all’attenzione in questo momento nel mondo femminile.
Lo sanno bene le donne archeologhe abituate, nella loro lavoro di ricostruzione storica attraverso oggetti e frammenti di oggetti, a leggere diversità, differenze, similitudini e aspetti comuni come manifestazioni diverse legate da meccanismi, anche e soprattutto di potere, per mezzo dei quali gli avvenimenti si realizzano e si intrecciano.
Queste donne, insieme alle altre, possono fare la differenza nel trasmettere e restituire alla collettività quella conoscenza che le spetta.


Perché la consapevolezza dei propri diritti e della propria dignità personale e professionale che nasce dalla dimestichezza coi meccanismi di accesso alla conoscenza porta a capire e a incidere affinché i diritti e la dignità di tutte e di tutti vengano riconosciuti, condivisi e dunque rispettati.


E in questo momento di deriva culturale credo che donne archeologhe e in generale le donne tutte impegnate nel settore della cultura debbano raccogliere questo impegno e farne assunzione piena di responsabilità. 


Grazie a tutti per aver condiviso questa giornata.

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